lunedì 1 aprile 2013

Ep. 13 – Per la maledetta voglia di rimanere vivo (il mio manifesto letterario)




Cinque minuti fa stavo in macchina. Stavo ascoltando una canzone quando mi è venuto in mente qualcosa da scrivere. Ora…sono qui a scrivere. Mi sono precipitato. Ho corso le scale, aperto la porta velocemente, e mi sono buttato sulla poltrona, portatile sulle gambe ed eccomi qui…a scrivere.

Teoricamente dovrei chiamare il barbiere e prendere un appuntamento il prima possibile per oggi pomeriggio. Per tagliarmi i capelli ovviamente. E a giudicare da come mi guardavo allo specchio stamattina…ne ho bisogno. Ma devo assolutamente scrivere quindi rimando la chiamata a dopo. Anche perché…se tutto è ordinato, pronto, e senza particolari impegni imminenti...il tempo si dilata…e io…non riesco a scrivere. Quel tempo me lo prenderei tutto. Starei lì a guardare nel vuoto e a pensare a cosa scrivere…ma alla fine non scriverei nulla. Perché nella mia testa non è così che funziona. Ma a questo ci arriveremo dopo.

So già che sto per mostrarvi il mio tallone d’Achille, e so che prima o poi me ne pentirò e mi farà schifo quello che ho scritto…ma ora sono qui. E scrivo ciò che mi sento di scrivere.

Molto del mio rigurgito in stampatello prende ispirazione dalla musica. E non da tutte le canzoni. Ma da alcuni autori in particolare. E per quelli di voi che pensano che ora citerò De Andrè, Mogol o il compianto Lucio Dalla…beh vi sbagliate. Non che quelli non siano d’ispirazione. Lo sono eccome, soprattutto Lucio (Dalla…non quello di Mogol). Ma ultimamente ciò che mi ispira di più (e per ispirazione intendo dire quella sensazione di vivere in un mondo parallelo dove whatsapp vuol dire guardarsi negli occhi, e facebook significa guardare insieme l’album di famiglia e sorridere nel vederla quando era solo una bambina con i ricci biondi) sono i testi di due grandi autori della scena rap dell’ultimo periodo.

Scena rap? Si avete sentito bene. Ma benché non condivida questa stonatura che sentite nella parola “rap”…penso che con riguardo ai suddetti autori la stonatura sia molto più lieve di quella che immaginate. Eh si perché questi due non sono due normali cantanti rap. Bensì sono, come mi piace catalogarli, dei musicosofi.

Cosa significa musicosofia? Sarebbe un termine che unisce musica e filosofia. Ma in realtà è solo una cazzata che ho scritto per catturare la vostra attenzione (e la mia). Quindi vado direttamente a dirvi i nomi dei cantanti: Jacopo D’Amico e Daniele Lazzarin. In arte: Dargen D’Amico e Danti.

Ecco che il tallone d’Achille è stato scoperto e già sento il vibrare delle frecce che fendono l’aria. Tra cinque minuti saranno qui. Ma come vi dicevo prima...più sono limitato, più sono ispirato.

La canzone che ascoltavo in macchina è proprio una canzone dei due musicosofi soprascritti, “Nessuno Ascolta”. In realtà…è una canzone del duo “Two Fingerz” composto dal cantante/autore Danti e il produttore musicale Roofio. Nella suddetta canzone però c’è una featuring con Dargen d’Amico.

Ora però spengo la modalità wikipedia e torno a noi. Proprio il testo di questa canzone mi ha tratto dalla macchina e mi ha spedito davanti al computer.

Mentre l’ascoltavo pensavo al mio modo di scrivere, il mio modo di raccontare storie, il mio modo di produrre mondi paralleli in cui non vivo. E mi sono ritrovato completamente in quella canzone. Non perché parli del mio modo di scrivere. O per lo meno non in tutta la canzone…altrimenti…come potrebbe confarsi a me il pezzo che dice “Scrivo leggero ma perlomeno non dico parolacce a fin di bene”? Provate a leggere l’episodio 6 di questo blog e poi tornate qui. Fatevi una risata.

Ma ehi…ci sono pezzi in cui parla di me. Del mio apporto a questo spazio d’etere. E parliamo del pezzo di Dargen che tra i due è il mio musicosofo preferito.

Ragazzi l’avrete capito:

Io scrivo perché mi piace vivere le vite che scrivo, e non mi piace vivere quella in cui scrivo.

E me ne frego se scrivo male. Lo so. Le pause. La punteggiatura.

 Non è questo il modo…

so anche che se volessi potrei architettare costruzioni sintattiche all’altezza degli autori veristi dell’ottocento italiano, quali Verga e altri drammaturghi, commediografi o tragediografi che siano, cogliendo magari le più fervide sfaccettature della realtà circostante e consegnando le mie fotografie cerebrali alla mano e alla penna, al sonoro calore dell’echeggiare del camino.

Ma per me…non è questo il modo. Come dice Dargen:

“io scrivo per la voglia di rime dette male”

Ma la domanda è questa: sono dette male? Il problema al giorno d’oggi è che nessuno ascolta più le parole. E non sto citando la canzone…è così! Ed io sono il primo che non ascolta. Le persone vogliono parlare…ma non ascoltare. Ed in realtà alla fine non parlano neanche…chattano!

Se dovessi citare la canzone invece…

“…perchè sprecare parole per
arrivare alle persone se
quello che rimane è solo: Na nana nana…"

Esatto. Alla gente rimane solo na nana nana. E allora come fare a scrivere qualcosa che venga letto? se alla gente rimane solo il ritornello, solo la musichetta…come fare a scrivere qualcosa che rimanga?

Ecco l’ispirazione che ho avuto ascoltando questa canzone. Il mio modo di scrivere…le varie righe buttate su questo blog…non sono scritte male, non è più questione di punteggiatura, di pause e di verbi…è questione di na nana nana.

Bisogna riuscire a tradurre in scrittura il na nana nana, mantenendone il ritmo, la musicalità, togliendo la musica. E soprattutto…riempendo il na nana nana…di contenuti.

Questa è la mia dichiarazione…potrei scrivere pagine e pagine…ma alla fine neanche mi spreco…ma non è questo un male. Perché so che a voi serve il na nana nana ed io ve lo do. E ve lo riempio di contenuti. C’è solo da capire…perché diavolo tutto questo sforzo. Perché diavolo devo mettermi lì a tradurre in musica sorda i miei pensieri. Perché? Ve l’ho detto già da tempo…ma se non ve lo ricordate ve lo ripeto citando Dargen:

“per la maledetta voglia di rimanere vivo”

Perché è così che vivo. "Le ho provate tutte" le strade ma alla fine della giornata, quando non sai cosa mangiare e se mangiare, non sai che ora è, non sai cosa fare o se fare alcunché, dove trovare un attimo di pace, o un attimo di guerra giusto per sentire qualcosa…all’improvviso ti ritrovi con le dita sui tasti della tastiera e devi stare attento che non ti ci cadano le briciole di ciò che stai mangiando.

Perché qualcosa…alla fine…mangi sempre.

Scusate ma ora devo veramente chiamare il barbiere.

1 commento:

  1. io non lo so perché amo così tanto il tuo blog ma ad ogni post mi stupisci di più. Probabilmente (macchè, di sicuro) hai ragione sul na nana nana

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