Cinque minuti fa stavo in
macchina. Stavo ascoltando una canzone quando mi è venuto in mente qualcosa da
scrivere. Ora…sono qui a scrivere. Mi sono precipitato. Ho corso le scale,
aperto la porta velocemente, e mi sono buttato sulla poltrona, portatile sulle
gambe ed eccomi qui…a scrivere.
Teoricamente dovrei chiamare il
barbiere e prendere un appuntamento il prima possibile per oggi pomeriggio. Per
tagliarmi i capelli ovviamente. E a giudicare da come mi guardavo allo specchio
stamattina…ne ho bisogno. Ma devo assolutamente scrivere quindi rimando la
chiamata a dopo. Anche perché…se tutto è
ordinato, pronto, e senza particolari impegni imminenti...il tempo si dilata…e io…non riesco a scrivere. Quel
tempo me lo prenderei tutto. Starei lì a guardare nel vuoto e a pensare a cosa
scrivere…ma alla fine non scriverei nulla. Perché nella mia testa non è così
che funziona. Ma a questo ci arriveremo dopo.
So già che sto per mostrarvi il
mio tallone d’Achille, e so che prima o poi me ne pentirò e mi farà schifo
quello che ho scritto…ma ora sono qui. E scrivo ciò che mi sento di scrivere.
Molto del mio rigurgito in
stampatello prende ispirazione dalla musica. E non da tutte le canzoni. Ma da
alcuni autori in particolare. E per quelli di voi che pensano che ora citerò De
Andrè, Mogol o il compianto Lucio Dalla…beh vi sbagliate. Non che quelli non
siano d’ispirazione. Lo sono eccome, soprattutto Lucio (Dalla…non quello di
Mogol). Ma ultimamente ciò che mi ispira di più (e per ispirazione intendo dire
quella sensazione di vivere in un mondo parallelo dove whatsapp vuol dire
guardarsi negli occhi, e facebook significa guardare insieme l’album di famiglia e
sorridere nel vederla quando era solo una bambina con i ricci biondi) sono i
testi di due grandi autori della scena rap dell’ultimo periodo.
Scena rap? Si avete sentito bene.
Ma benché non condivida questa stonatura che sentite nella parola “rap”…penso
che con riguardo ai suddetti autori la stonatura sia molto più lieve di quella
che immaginate. Eh si perché questi due non sono due normali cantanti rap. Bensì
sono, come mi piace catalogarli, dei musicosofi.
Cosa significa musicosofia? Sarebbe
un termine che unisce musica e filosofia. Ma in realtà è solo una cazzata che
ho scritto per catturare la vostra attenzione (e la mia). Quindi vado
direttamente a dirvi i nomi dei cantanti: Jacopo D’Amico e Daniele Lazzarin. In
arte: Dargen D’Amico e Danti.
Ecco che il tallone d’Achille è
stato scoperto e già sento il vibrare delle frecce che fendono l’aria. Tra cinque
minuti saranno qui. Ma come vi dicevo prima...più sono limitato, più sono
ispirato.
La canzone che ascoltavo in
macchina è proprio una canzone dei due musicosofi soprascritti, “Nessuno Ascolta”.
In realtà…è una canzone del duo “Two Fingerz” composto dal cantante/autore
Danti e il produttore musicale Roofio. Nella suddetta canzone però c’è una
featuring con Dargen d’Amico.
Ora però spengo la modalità
wikipedia e torno a noi. Proprio il testo di questa canzone mi ha tratto dalla
macchina e mi ha spedito davanti al computer.
Mentre l’ascoltavo pensavo al mio
modo di scrivere, il mio modo di raccontare storie, il mio modo di produrre
mondi paralleli in cui non vivo. E mi sono ritrovato completamente in quella
canzone. Non perché parli del mio modo di scrivere. O per lo meno non in tutta la canzone…altrimenti…come
potrebbe confarsi a me il pezzo che dice “Scrivo leggero ma perlomeno non dico
parolacce a fin di bene”? Provate a leggere l’episodio 6 di questo blog e poi
tornate qui. Fatevi una risata.
Ma ehi…ci sono pezzi in cui parla
di me. Del mio apporto a questo spazio d’etere. E parliamo del pezzo di Dargen
che tra i due è il mio musicosofo preferito.
Ragazzi l’avrete capito:
Io scrivo perché mi piace vivere
le vite che scrivo, e non mi piace vivere quella in cui scrivo.
E me ne frego se scrivo male. Lo so.
Le pause. La punteggiatura.
Non è questo il modo…
so anche che se volessi potrei architettare costruzioni sintattiche
all’altezza degli autori veristi dell’ottocento italiano, quali Verga e altri
drammaturghi, commediografi o tragediografi che siano, cogliendo magari le più
fervide sfaccettature della realtà circostante e consegnando le mie fotografie
cerebrali alla mano e alla penna, al sonoro calore dell’echeggiare del camino.
Ma per me…non è questo il modo. Come
dice Dargen:
“io scrivo per la
voglia di rime dette male”
Ma la domanda è questa: sono
dette male? Il problema al giorno d’oggi è che nessuno ascolta più le parole. E
non sto citando la canzone…è così! Ed io sono il primo che non ascolta. Le persone
vogliono parlare…ma non ascoltare. Ed in realtà alla fine non parlano neanche…chattano!
Se dovessi citare la canzone
invece…
“…perchè sprecare
parole per
arrivare alle persone se
quello che rimane è solo: Na nana nana…"
arrivare alle persone se
quello che rimane è solo: Na nana nana…"
Esatto. Alla gente rimane solo na
nana nana. E allora come fare a scrivere qualcosa che venga letto? se alla
gente rimane solo il ritornello, solo la musichetta…come fare a scrivere
qualcosa che rimanga?
Ecco l’ispirazione che ho avuto
ascoltando questa canzone. Il mio modo di scrivere…le varie righe buttate su
questo blog…non sono scritte male, non è più questione di punteggiatura, di
pause e di verbi…è questione di na nana nana.
Bisogna riuscire a tradurre in
scrittura il na nana nana, mantenendone il ritmo, la musicalità, togliendo la
musica. E soprattutto…riempendo il na nana nana…di contenuti.
Questa è la mia dichiarazione…potrei
scrivere pagine e pagine…ma alla fine neanche mi spreco…ma non è questo un
male. Perché so che a voi serve il na nana nana ed io ve lo do. E ve lo riempio
di contenuti. C’è solo da capire…perché diavolo tutto questo sforzo. Perché diavolo
devo mettermi lì a tradurre in musica sorda i miei pensieri. Perché? Ve l’ho
detto già da tempo…ma se non ve lo ricordate ve lo ripeto citando Dargen:
“per la maledetta
voglia di rimanere vivo”
Perché è così che vivo. "Le ho
provate tutte" le strade ma alla fine della giornata, quando non sai cosa
mangiare e se mangiare, non sai che ora è, non sai cosa fare o se fare alcunché,
dove trovare un attimo di pace, o un attimo di guerra giusto per sentire
qualcosa…all’improvviso ti ritrovi con le dita sui tasti della tastiera e devi
stare attento che non ti ci cadano le briciole di ciò che stai mangiando.
Perché qualcosa…alla fine…mangi
sempre.
Scusate ma ora devo veramente
chiamare il barbiere.
io non lo so perché amo così tanto il tuo blog ma ad ogni post mi stupisci di più. Probabilmente (macchè, di sicuro) hai ragione sul na nana nana
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