PARTE 1
C’è
un aspetto del guardarsi allo specchio che non avevo mai colto. Mai. Quello del
“riflettersi” nello specchio. Non semplicemente “guardare” ma “riflettere”. Lo
specchio che ti riflette. Tu nello specchio che rifletti. Mai colto questa
sfumatura e sicuramente chissà quanti invece l’avranno colta. Ma io…prima di
tutto quello che sto per raccontare…non ci avevo mai pensato. Mai.
Il
primo incontro fu su un autobus e a dire il vero non fu un vero e proprio
incontro perché io non me ne accorsi. Solo dopo mi ricordai di quell’uomo
anziano che con i suoi occhi ambrati mi fissava incessantemente e di come di
questo sguardo…io…non me ne accorsi sino all’ultima fermata. Stavo scendendo e
ho colto il movimento del suo volto che mi seguiva. Mi sono girato mentre con
un passo ero già fuori dal bus e lui mi guardava e sorrideva. Non diedi molto
peso a quell’incrocio di sguardi. Nella sua fugacità, con tutti e due i piedi
fuori dal bus, quell’istante aveva già perso qualsiasi tipo di utilità alla mia
vita.
Avete
presente quando prendete una tazza d’acqua calda, versate dentro un mezzo
cucchiaino d’infuso e prima di girare vi mettete lì a guardare mentre quella
macchia scura si deposita sul fondo del bicchiere. Poi girate col cucchiaino e
tutto diventa scuro. Bevete…e quando avete praticamente finito di bere la
tisana…lì…sul fondo…c’è ancora qualche residuo di ciò che avevate messo col
cucchiaino. E pensate “forse non ho girato bene…la prossima volta mescolo di
più”. Ma alla fine c’è sempre qualche residuo. Ecco questo è esattamente quello
che ho provato quando ho rivisto il vecchio per la seconda volta. O meglio
quando l’ho sentito. Il ricordo dell’autobus era rimasto sul fondale del mio
bicchiere. E quando ho finito la mia tisana…quando è arrivato il momento
giusto. Ho ricevuto una chiamata. E tutto è tornato alla mente. E, perplesso,
ho fissato il fondo del bicchiere con la sensazione di non aver mescolato per
bene, ma di essere contento di questo.
Erano
le cinque del pomeriggio, un orario critico per chi pensa spesso. Se devo
studiare, puntualmente non lo faccio, se la tv è accesa puntualmente mi ci
metto davanti ma non la guardo veramente. Le diciassette rappresentano l’ora
del volo. La mia mente si spegne per un attimo…o forse è giusto dire che si
accende. Insomma erano le cinque del pomeriggio e il telefono inizia a
squillare. Ed è così che per la prima volta ascolto la voce del vecchio, una
voce stranamente familiare.
“Ciao.
È imbarazzante…e abbastanza strano. Mi chiamo…ehm…Franco…si…e ecco…avrei una
richiesta da farti.”
“…Pronto?
Scusi ma chi cerca?”
“Sei
Francesco, Francesco Lisi?”
“Si.
Mi scusi, cosa vuole?”
“Non
si ricorderà di me. Io e lei ci siamo visti su un autobus. Mi pare fosse l’87.
Lei è sceso alla fermata di Lepanto se non sbaglio. Ero quel signore con la
barba seduto di fronte a lei.”
Tisana.
Infuso. Non ho mescolato bene? “Ehm…ha ragione…in effetti è abbastanza strano.
Non direi imbarazzante ma…più o meno. Comunque si, ricordo vagamente…ha bisogno
di qualcosa?”
“Sono
felice di sentire che la sua memoria non mi ha cancellato. Guardi...la
situazione è questa…sono un vecchio scrittore e dopo tanto travagliosi
ragionamenti sono venuto alla conclusione di voler scrivere un ultimo libro, la
storia della mia vita. Il problema è che il mio corpo non me lo permette.
Purtroppo sono affetto da una grave malattia, che non mi concede neanche le
forze di scrivere al computer. Ma ho la forza di parlare, di ricordare. E ho
pensato che avrei potuto dettare i miei ricordi a chi di forze sicuramente ne
ha anche troppe. Ed ho scelto lei…”
“Cosa
intende?”
“Lasci
perdere. Non dia troppo ascolto ai lamenti di un vecchio.”
“Ok.
Ma…perché avrebbe scelto me? Mi conosce? Io la conosco?”
“Troppe
domande per un apparecchio telefonico…preferirei discutere di questo con lei di
persona, se possibile. Le preannuncio comunque…che la pagherò profumatamente. E
per un ragazzo della sua età…qualche soldo in più per scrivere al computer…non
dovrebbero dispiacere.”
La
cosa era abbastanza strana, e necessitava di tante spiegazioni, precauzioni…ma
avevo una sensazione di familiarità nell’ascoltare la sua voce…che non mi
preoccupai di nulla, nonostante la cosa avrebbe allertato chiunque sano di
mente. Mi disse dove abitava, e siccome ero curioso e avevo bisogno di
soldi…accettai.
Quando
entrai in casa sua ricordo di aver avuto la sensazione di non essere mai uscito
di casa. Mi accolse con grande serenità, nonostante la malattia non gli
permettesse di comportarsi da bravo padrone di casa, ma la cordialità della sua
voce, il calore della sua anziana presenza, e la visione di quella bellissima
barba bianca e nera, folta…compensavano qualsiasi mancanza…e andavano oltre.
“Non
si chieda perché ho scelto lei…anzi posso darti del tu Francesco?”
“Certo”
“Bene…e
ti invito a fare lo stesso con me. Dicevo…non chiederti perché ho scelto te.
Sono una persona che ha imparato a basarsi sull’istinto e nel corso della mia
vita questo mi ha portato a molte delle mie più grandi avventure. E quando ti
ho visto su quell’autobus, proprio quell’istinto mi ha spinto a vedere in te
l’inizio della mia ultima grande avventura. Ho fatto le mie ricerche…e ti ho
trovato.”
Non
ero mai stato così emozionato come lo ero in quel momento. Non sapevo perché…ma
mi sentivo al posto giusto, nel momento giusto.
Accordatici
sulle modalità di scrittura, sulla divisione del programma e sul compenso
(seppur, vi giuro, questo fosse l’ultimo dei miei pensieri allora) Franco
iniziò a raccontare.
“Iniziamo
da quando avevo 23 anni”
“Cosa?
Ma non dovremmo partire dall’infanzia? Cioè…una biografia di solito parte
proprio dalla nascita! O sbaglio?”
“Francesco,
i miei primi 23 anni di vita non sono importanti come i successivi. Se ci sarà
tempo e se reggerò racconterò brevemente anche quelli…per ora…e per le seguenti
storie…fai conto che quei 23 anni tu l’abbia già scritti.”
Le
emozioni erano a mille. Non ero mai stato un tipo molto avvezzo al lavoro. Ma
quell’esperienza mi stava riempendo. E come primo approccio non poteva essere
migliore.
La
barba si mosse, e il racconto cominciò.
“Quando
avevo 23 anni ebbi un illuminazione. Avevo quasi finito l’università e mi stavo
per laureare quando presi la decisione di voler viaggiare per il mondo. Volevo
conoscere storie, vivere con persone di tutti i tipi e scrivere di tutto
questo. Appuntarmi qualsiasi cosa…scrivere tutto ciò che mi accadeva come se
stesse accadendo ad un'altra persona e io stessi lì…a fissarla, a guardarla
vivere. Volevo scrivere di me in terza persona, i protagonisti di ciò che avrei
scritto sarebbero stati tutti la stessa persona: me. E quello che vivevano era
quello che avevo vissuto io. Non fu questa l’illuminazione. Questo fu il
desiderio che mi aprì gli occhi.”
Avevamo
accordato che avrei scritto il romanzo in prima persona, come se fosse stato
lui a scriverlo. All’inizio la cosa era abbastanza complicata…poi quando capii
che alla fine dovevo semplicemente limitarmi a scrivere esattamente quello che
lui dettava, il meccanismo fu più fluido e non trovai più particolari
difficoltà. La cosa però ebbe un secondo effetto su di me. Mentre ascoltavo e
velocemente traducevo la sua voce in parole sul desktop del computer…nel mio
lavoro di mero strumento mi ritrovai imbrigliato in quelle storie…e ad un certo
punto mi sentii talmente immerso in esse…che mi sembrò di viverle…proprio nel
momento in cui lui le diceva, io le stavo vivendo. Il tutto in un fluido molto
semplice e veloce che non dava spazio alla razionalità. Non ero più in grado di
capire se ero io che scrivevo le sue storie…o lui che narrava le mie.
È
stato un attimo. Ed ero un ventitreenne che aveva la possibilità di viaggiare e
di scrivere.
E
qui mi ritorna in mente il riflettersi nello specchio.
PARTE 2
Ora
potrei raccontarvi tutte le storie che per ore e giorni e settimane questo
vecchio mi ha dettato. Potrei raccontarvi le avventure in cui questo vecchio mi
ha guidato. Potrei…ma in realtà…tutto perderebbe di senso alla fine. Come lo ha
perso per me, quando subito dopo la parola “Fine” il vecchio mi ha
guardato...intensamente…e mi ha detto “E’ tutta una cazzata!”
Tutte
quelle storie. False. Tutte false. Il vecchio mi aveva ingannato. Così disse.
“E’ tutta una cazzata!”. L’errare da una parte all’altra del mondo. Le donne
che aveva avuto e che non significavano nulla. Gli amici che si era fatto.
Milioni di amici. Milioni di storie. Il suo abitare il mondo. Il suo sentirsi
stretto anche su questo pianeta. Il suo amore per la vita. Tutta una cazzata.
Gli
chiedo perché. Perché ha voluto scrivere una autobiografia di fantasia. Perché
ha voluto inventarsi una vita?
E
lo specchio mi riflette.
“Sono
te!” mi dice. “Sono te venuto dal futuro.”
Autobiografia
di fantasia, con un pizzico di fantascienza.
“Sono
te venuto dal futuro…e voglio salvarti la vita.”
Gli
chiedo cosa intende. E la semplicità con cui accetto tutto questo mi sorprende.
Forse è perché è quello che stavo aspettando. Il movente di cui avevo bisogno.
“Fai conto che i primi 23 anni tu li abbia già scritti”. Si. Li ho scritti. E
non ho voglia di riscriverli. Non mi piacciono. E ora cosa mi aspetta?
“Sono
venuto a salvarti la vita. Tutto quello che ti ho raccontato, i viaggi, le
emozioni…sono i rimpianti della mia vita. La realtà è che non ho mai avuto il
coraggio di fare nulla. Sono uno scrittore. Si. Questo è vero. Ho scritto
romanzi. Si. Questo è vero. Ma dalla carta alla vita non è saltata fuori
nessuna emozione. Scrivevo perché era l’unico spazio dove avevo il coraggio di
fare le scelte che altrimenti nella vita…non ho mai fatto. Sono venuto a
salvarti la vita. A dirti di smetterla di scrivere di fantasia…e comincia a
fare il cronista della tua vita. Scrivi quello che vivi…non vivere quello che
scrivi.
“Ho
sempre cercato di dimostrare qualcosa nella mia vita. Di dimostrare che ero
qualcuno. Di rispettare dei canoni di rispettosità. La verità è che così
facendo non sono mai stato all’altezza di niente. Alla portata di tutti.
All’altezza di niente.
“Ho
sempre cercato di dimostrare che ero un tipo affidabile, ma soprattutto una
persona a cui ci si poteva aggrappare, a cui chiedere aiuto. Un macigno immovibile.
Una sicurezza. La verità è che facevo i salti mortali per esserlo e sembrarlo.
Che quando loro piangevano sulla mia spalla…non si accorgevano del sudore della
mia fronte.
“Ho
sempre cercato di dire e convincere gli altri che ero un buon amico, onesto,
non ipocrita, non saltuario. La verità è che sono un pezzo di merda che ti
chiama solo quando si sente solo. Che quando inizia a perdere una o due cose ha
freddo e inizia a cercare le diecimila lasciate nel tempo. Che guarda avanti e
schiaccia la gente ma quando viene schiacciato cerca aiuto sotto le suole delle
scarpe.
“E
un giorno ho capito che sotto le mie suole…c’ero io. Mi ero schiacciato da
solo. E quindi sono tornato indietro. Qui. Da te. Ad aiutarti…ad aiutarmi. Per
me è tardi. Ma per te non lo è. Muoviti. Agisci. Smettila di creare. Comincia a
costruire. Non aver paura di fallire, anzi…fallisci. Senti il dolore dello
sbattere col culo per terra e vedrai che seduto non ci vorrai più stare. Io ho
passato una vita a rimpiangere il tempo che passava senza che io facessi nulla.
Sempre schiavo delle mie convinzioni. Sempre schiavo di archetipi precostruiti.
La vita non si decide a tavolino. È per questo che quando nasciamo siamo
stupidi bambini incapaci e piano piano arriviamo alla morte…incapaci nel corpo…ma
saggi e maturi nella mente. Io invece morirò come uno stupido bambino incapace.
Ma tu puoi ancora salvarti.
“Quel
libro, quella bibbia per idioti, quelle pagine piene di fantasie e
rimpianti…brucialo. Quella non è la tua vita. E purtroppo non è stata la mia.
Brucialo. E scrivine un altro. Scrivilo col sangue, col sudore, con le gambe e
le braccia. Con le tue labbra. Con il tuo corpo. Scrivilo con i tuoi respiri,
con i tuoi polmoni. Con i tuoi occhi. Con la tua mente. Con le cicatrici, con i
fallimenti, con le rotture, con i momenti sbagliati. Metti in risalto la tua
vita con l’evidenziatore, non nasconderla col bianchetto come ho fatto io.”
Finisce
qui. Mi guarda. E finisce di parlare. Ed io ho paura. Ed io sono felice. Ed io
devo ancora capire cosa è successo. Devo ancora digerire tutto. Io sto ancora
all’inizio. È come un rallentatore. Piano piano ci arrivo, lo giuro. Ma con
calma.
Non
posso rimanere qui ora. Prendo le pagine stampate della mia…sua autobiografia
di fantasia…prendo un accendino. Esile esce dalle mie labbra un ‘grazie’
stentato. E lui mi guarda. Apro la porta e lì mi fermo. So cosa sto per
domandare. Lo so e lo sa anche lui. Perché è l’unica cosa che veramente
m’importa. E’ l’unica moneta di scambio. È la sola cosa che realmente può convincermi.
“Nella
tua vita” dico “hai una moglie? Dei figli? Una famiglia? Capisco il vivere con
la paura di sbagliare e la castrazione che comporta. Ma sei riuscito a trovare
una donna, una famiglia insomma…almeno quella…l’hai costruita?”
E’
l’unica cosa che veramente m’importa. L’unica moneta di scambio.
Il
vecchio mi guarda. E per la prima volta in tutto questo tempo…inizia a
piangere. Io ho già capito la risposta. L’ho vista in prospettiva. D’altronde
quello sono io.
E
chiudo la porta della stanza con un rumore che copre il suo “no”…stentato.