venerdì 15 marzo 2013

Ep. 12 - Una Brutta Storia

La verità è che non ho avuto neanche il tempo di pensare. E vi chiederete…come lo so…visto che ora sono morto. Ma ancora non vi siete chiesti come fate, per lo stesso motivo…a leggere un mio libro.

“Cristo!” è l’unica cosa che riesco a dire. Mi fa specie perché sto leggendo storie che riguardano proprio quel periodo lì. Quello dove è morto il Messia. Comunque…una figata pazzesca questo libro. Lui è morto e io leggo ciò che scrive. Cioè di solito è così con i libri…ma qui…lui scrive dopo che è morto. Muore prima che scrive. Morì prima che scrisse. Vabbè sembro un bambino idiota. Lasciamo perdere. Vai con l’acqua!

Il vento riesce quasi a ferirmi. E la cosa mi piace…non è strano? Ho solo sette anni. Mi chiamo Monica. E sono la bambina dell’altalena. Sai quella ragazzina nel parco, con il sole caldo e rosso del tramonto, i capelli ricci, lunghi e color grano, il vestitino smanicato e le scarpette rosa? Quella bambina che sull’altalena fa avanti e indietro. Avanti e indietro. Avanti e indietro. È una responsabilità sai? Tutti quelli che usurpano questa immagine…tutti quelli che chiudono gli occhi e vedono il parco, l’altalena e me…pretendono che io faccia avanti e indietro. È da contratto. Avanti e indietro. E voi guardate. Non è strano? C’è qualcosa di perverso.

Sentite…possiamo stare qui a chiederci come faccio a scrivere un libro da morto, e io potrei iniziare a sputtanarvi tutta una serie di stronzate del tipo “ero esanime e con il mio stesso sangue ho firmato la via Appia con il mio raccapricciante manoscritto”ma poi mi vengono in mente i san pietrini che mi spingono sullo stomaco mentre sto a terra e mi viene la claustrofobia…oppure…posso raccontarvi la mia storia, anche se sapete già il finale...alla fine muoio!

Perché cazzo questo bagno non funziona. Uno vuole mettersi in vasca a godersi un po’ di relax, a leggere un libro, con la sensazione di essere avvolto da una coperta liquida…e l’acqua calda non funziona! Roba che quando mi sono messo dentro mi sono venuti i brividi. Passavo dal freddo al tiepido quindi qualche sensazione positiva c’era ma…era limitata. Cazzo. Non riesco a seguire il libro. Mi sono apparecchiato tutto prima di entrare in vasca. L’accappatoio vicino per quando uscirò. Un canovaccio per asciugarmi le mani e sfogliare le pagine del libro senza bagnarle. Ho messo una specie di tavola di legno sopra la vasca dove appoggiare libro e cellulare. Uh. Il cellulare squilla. Messaggio. E l’acqua intanto è sempre tiepida.

Allora…stiamo nel 38 d.C. e in realtà non so neanche cosa significhi questo “d.C.”…stamattina io e mia sorella eravamo su un plaustrum. Era un majus e quindi aveva quattro ruote. Di solito questi carri erano sempre sovraccarichi tant’è che creavano spesso qualche problema perché si rompevano e diventavano un ostacolo per chi altri dovesse passare per quella strada. Questo stamattina non lo sapevo…altrimenti non sarei salito di nascosto su quel carro. E circa a metà strada, forse, non si sarebbe rotto, crollando su una ruota spezzata per il troppo peso. Quando il carrettiere scese e ci vide per terra, sopra quel che rimaneva della sua merce, cominciò a gridare. Ho preso per mano mia sorella…e ho cominciato a correre. Davanti a me vedevo già la città in lontananza. E non avevo paura. Il carrettiere sarebbe rimasto accanto al suo carro. Sorrisi, strinsi la mano di mia sorella, la guardai…e correndo mi entusiasmai nel vedere Roma.

Sai le spighe di grano? E quelle immagini stupende del Mulino Bianco con il grano che si muove sotto il sole? No lascia perdere ora quelle cagate di Antonio Banderas...e ora non farmi la morale sul“sei una bambina di sette anni dove hai imparato certe parole?”…faccio la cacca da quando sono nata quindi le ho imparate naturalmente. Comunque ora immagina di guardare il sole…e ogni tanto vedi quel ciuffo di capelli ricci fare avanti e indietro. Eh si. Proprio una bella immagine. Ed è sempre una responsabilità…è pesante. Tra l’altro mi sto anche rompendo le palle. Questa altalena la odio. Odio questo vestitino. Odio questi capelli color grano. Ci starebbe proprio bene ora un bel fotogramma di una bambina di sette anni rasata, che guarda in camera, un vestito bianco sporco di terra, e una faccia incazzata. Sentite…vi ho già detto di non lamentarvi del mio linguaggio. Le parole le imparo dalla tv. Caso chiuso.

E in quel piccolo tratto verso le porte di Roma le cose sono successe in fretta. Riassumendo: avevo smesso di correre, guardavo mia sorella che rideva. Il suo sorriso mi ha ricordato quello di mia madre. Mentre gli occhi…gli occhi sono di quel bastardo di mio padre. Siamo 6 in famiglia. Papà, mamma. Io e mia sorella. E poi altri due bambini appena nati. Papà è partito per una spedizione militare. Non è più tornato e io neanche mi ricordo la sua faccia. Dicono che si era fatto una nuova famiglia e che non voleva tornare da noi. Poi l’hanno ucciso. Non so il motivo. Ma l’hanno fatto e a me questo basta. Mamma non poteva mantenerci tutti e così ha mandato me e mia sorella a Roma…lei dice che avremmo trovato qualcosa da fare, per guadagnarci il pane. Ma quando ci ha salutato, prima che partissimo…piangeva come chi vede i propri cari morire. Riassumendo comunque: mentre pensavo a papà e a mamma sono inciampato in un san pietrino e sono caduto di faccia. Un san pietrino mi ha colpito allo stomaco. La posizione era abbastanza scomoda ma all’improvviso tutto è passato in secondo piano. Lì…nell’erba…qualcosa luccicava. La voce di mia sorella che tentava di farmi alzare mi riportò sull’Appia. Non mi ero fatto granché…giusto qualche graffio sul volto. Guardai mia sorella la tranquillizzai…e poi riguardai l’erba. Nulla luccicava più. Ma ehi…era solo per la prospettiva. Adesso nel punto dove prima qualcosa luccicava…ora…c’era una moneta. Una moneta d’argento.

Ok. Questo è molto strano. Allora. A parte che l’acqua da un po’ esce bollente. E io sto sudando. Sai tipo quel momento in cui il caldo dell’acqua ti riempie di bollore interno e l’unico punto freddo è la fronte…dove eccola là…una goccia di sudore cade. Beh. La goccia mi ha distratto un attimo ma...questo è molto strano… faccio un attimo mente locale su come ho acquistato questo libro. Punto primo. Non l’ho acquistato. Punto secondo. Non l’ho rubato. Punto terzo. L’ho trovato. Stavo camminando sul marciapiede e accanto ad un albero…uno di quelli da marciapiede appunto. Quelli col quadrato di terra da 20x20cm. Accanto a quell’albero…un libro. Questo libro. Lo prendo…niente titolo, niente quarta di copertina…nessun riassunto, né descrizione dell’autore. Rilegato a cazzo ma con una copertina di pelle autentica e con meno di una ventina di pagine in tutto…mi ha incuriosito. L’ho aperto e dentro c’era un sacchettino attaccato. Era trasparente…dentro c’era…una moneta. Una moneta d’argento.

Sono le 7 del mattino e devo portare fuori il cane. Non so neanche perché l’ho comprato questo maledetto cane…odio alzarmi presto e portarlo fuori…odio portarlo fuori la sera tardi…odio comprargli da mangiare, odio pulirlo, odio portarlo dal veterinario, odio portarlo a tagliare il pelo. Odio questo fottuto cane. Eppure sono le 7 del mattino, e sono 5 anni che sono le 7 del mattino…e porto questo cane a pisciare. I lampioni iniziano a spegnersi…e io è già 30 minuti che cammino ma questo…neanche una goccia. Oh…si è fermato. Bene…forse è la volta buona…un bell’alberello, di quelli da marciapiede…una bella pisciatina e…cos’è quel…aspetta…Pluto…aspetta…fermo…un libro…in pelle…wow! Adoro le anticaglie…oh mio dio! Dentro c’è una moneta d’argento…bellissima. Cosa c’è scritto sopra?...non risponderò a questa domanda…non lo farò…perché il cane non avrà ancora pisciato…ma un altro liquido esce dall’animale ora…ed è rosso. Ed io?...io ci sono andato al bagno stamattina?...non me lo ricordo…e comunque…sto raggiungendo Pluto.

Volevo avere un motivo per scendere da questa altalena. Avanti e indietro. Una responsabilità…ma mi sono stufata. Volevo avere una scusa e poi….eccola! trovata. Al diavolo le responsabilità…c’è qualcosa che luccica lì…lì davanti…l’altalena piano piano rallenta e HOP! Giù da questa oscillazione infernale. Ora immaginatemi mentre saltello nel parco…eh si…un’altra bellissima immagine. Salvatela e mettetela come sfondo del desktop che siete in tempo…io le responsabilità ormai le mando a puttane. Ancora che vi lamentate del mio linguaggio? Ora ho una scusa…qualcosa che luccica. Cos’è? Vediamo…WOW! Una moneta…una moneta d’argen…cosa diavolo vuol dire che già lo sapete? Chi cacchio siete? E quindi sapete pure cosa c’è scritto sopra? Ah questo no?...c’è scritto “Uno di…” no. Non posso continuare. Misà che avevate ragione voi…non dovevo dire tutte quelle parolacce. La mia mamma me lo diceva sempre… “se continui a dire le parolacce poi viene l’uomo nero”. Mamma perdonami…le responsabilità…mi hanno accecato. Volevo fare la ribelle…ed ora sono qui…con l’uomo nero. E non respiro più. Mamma perdonami.

Ho una fissa con i san pietrini perché i San Pietrini sono l’ultima cosa che ho visto. Ho preso quella moneta. Ho visto cosa c’era scritto. Ed è stato un attimo. In quell’attimo ho visto papà con la testa mozzata e un bicchiere di vino traboccante, ho visto il carrettiere con un pezzo di carro appuntito, ho visto la mamma che morente abbracciava i miei fratellini più piccoli, ho visto mia sorella morire sul colpo e cadere davanti ai miei occhi. Poi…con la moneta ancora in mano…ho visto la morte. E poi…il sangue che scorreva tra un san pietrino e l’altro. Roma…non ci sono neanche arrivato.

L’acqua era veramente calda ma ormai non m’importa più. Il sudore non mi distraeva più. Non vi sto qui ad ammorbare ulteriormente. Vi dico solo che sulla moneta c’era scritto “Uno di trenta”. Non mi sono chiesto cosa volesse dire. Non ho fatto in tempo. Ad adesso…l’unica cosa che vedo è una vasca piena di acqua troppo calda e ora…anche troppo rossa.

venerdì 8 marzo 2013

Ep. 11 - La Bibbia e la Chitarra

Che poi volevo scrivere una canzone. Una di quelle che cambia la storia. Non la tua…la mia storia!

Ho sempre amato iniziare con un tono di chi ha già detto qualcosa e te lo sei perso. La gente si chiede da dove sei partito e a te non te ne frega niente in quel momento. E allora perché, direte voi. Perché iniziare così se poi non te ne frega niente? Non lo so. E alla fine non me ne frega. Niente.

Che poi la musica non è che la sapessi proprio creare. Strimpello la chitarra da quando avevo 7 anni ma non ho mai imparato a suonarla. Ho speso un botto di soldi per una chitarra fender acustica in color madre perla ma alla fine io la chitarra…non la sapevo neanche suonare. O per lo meno non la sapevo suonare come quella chitarra meriterebbe. E talvolta mi sento anche in colpa per questo. Per la chitarra intendo. Più che altro per aver tolto a chi è più bravo di me la possibilità di farsi venire i calli sulle dita con quella fender in madreperla. Poi penso che poteva andarle peggio. La suono. E me ne frego.

Volevo scrivere una canzone, e nel tempo ne ho scritte tante. D’amore quando non ne avevo. Di altro quando avevo amore. Ma alla fine non me ne piaceva neanche una. Cestinate.

Quella chitarra mi guarda sempre quando mi alzo dal letto. O almeno questo è quello che penso, che poi si sa…le chitarre non ne hanno di occhi. Ma ormai sapete che quel che penso accade o quel che accade lo penso, o che è tutto un fottuto scherzo, quindi chissenefrega.

Mi specchio nel color madreperla della mia chitarra ma è solo una patina di colore e non è che mi si vede molto bene la faccia. E’anche vero che allo specchio non mi vedo tanto meglio quindi…

Com’era quel passo della bibbia?

“Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia”

Dicevamo? Ah si. La chitarra.

Che poi le canzoni erano tutte smielate. Tutte. Tranne qualcuna che invece era tutta moralista, sai di quelle canzoni tutto “ehi tu ti spacco la faccia, perché la droga fa male ma il mio pugno di più” al contrario di “fumiamo la maria, evviva e cosi sia” etc. Per fortuna le ho cestinate.

Sai tipo quelle stanze da Motel americano anni ’70…la moquette verde per terra, i mobili in legno, la tv in bianco e nero con la rotellina che sembra un fottuto microonde, ehi quella roba fa male. Sai tipo il mobiletto accanto al letto matrimoniale, che poi c’andavi da solo e perché cazzo ti prendi un matrimoniale? Sai tipo la “Holy Bible” nel cassetto? Eh…si, dai. Un clichè di terza categoria ma fa ancora il suo effetto. Ora però ho una chitarra in mano. E sono seduto sul matrimoniale.

Il sudore mi inizia a calare dalla fronte, troppo alta per i miei gusti. Ed è come se stessi marciando. Un due tre. Passo. Un due tre. Passo. E la chitarra adesso…me la imbraccio. Un due tre. Passo. Com’era? Ah si…indice, primo tasto, seconda corda. Un due tre. Passo. Medio, secondo tasto, quarta corda. Un due tre. Passo. Anulare, terzo tasto, quinta corda. Un due tre. Passo.

E questo è un Do. Ora passiamo all’arpeggio.

E ritorno bambino. Nella mia camera. Davanti il mio insegnante. Sono di nuovo qui. Lui mi guarda e mi chiede “Cosa vuoi? Che t’insegni a suonare veramente la chitarra? O vuoi soltanto strimpellare?”.

La scelta più difficile e nello stesso tempo più facile della mia vita.

Che poi la chitarra in realtà neanche mi guarda quando mi alzo.
 

giovedì 7 marzo 2013

Ep. Facoltativo - #Andarevia e le storie sui Pirati


Quindici uomini sulla cassa del morto.

Non so voi ma spesso rimpiango i bei tempi dell’infanzia, e grazie al cazzo direte voi, mettiti in fila.
Avete ragione, sarò fuori luogo, fuori posto, insomma sarò fuori…ma mi manca essere bambino. E da bambino mi piacevano i pirati.

Ho giocato ad un gioco al pc da ragazzino, che se lo vedessero quelli d’adesso, della generazione playstation3000, la WiiGeneration, gli AppRagazzi, mi whatsapperebbero un sonoro vaffanculo, di quelli che ti colpiscono al chip. Un gioco che utilizzava SCUMM come motore di gioco ed è uscito in floppy disk per la prima volta nel 1990…insomma sto parlando di “The Secret of Monkey Island”! Un gioco di pirati!

Non so bene il motivo, e spero di scoprirlo via via scrivendo, ma nel vedere il film #Andarevia, con al regia di Claudio Di Biagio (ho detto Claudio Di Biagio, non “nonapritequestotubo”) mi ha ricordato vagamente quel gioco, e più in generale le storie sui pirati che tanto amavo da piccolo, e che amo ancora.

Sapete quando siete bambini, vi chiedete sempre cosa farete da grandi. Io mi facevo sempre una miriade di castelli mentali, e sono passato dall’astronauta anche solo per vedere la terra dall’alto, al cantante per vedere la terra…dal basso. Ma in ognuno dei mestieri che vedevo nel mio futuro professionale…c’era sempre un pò di pirateria. E di quella alla monkey island! Fatta di gentili donzelle, di responsabilità sospese, di vodoo, di locali, di alchool e d’ironia. Ah…e anche di completa pazzia!

Quindici uomini sulla cassa del morto, e una bottiglia di rum.

Ecco se sostituite quindici con cinque e rum com birra…capite perché ho pensato a questa frase e ai pirati quando il protagonista (c’è un protagonista?) di #Andarevia Marco, interpretato da un implacabile Matteo Quinzi (che tra questo, freaks e gli sketch con the pills fatico a ritenere una persona tranquilla! Ma ti fanno fare solo gli iracondi a te?) si scola una birra dopo l’altra su una spiaggia della Sardegna dopo troppo tempo in mare.

Yo ho, yo ho, beviamoci su.

Eh si. Perché #Andarevia è assolutamente “da berci su”. Una favola piratesca ai giorni d’oggi. E aggrottate pure le sopracciglia voi che l’avete visto e vi state chiedendo “ma che diavolo centra con i pirati?”…aggrottate aggrottate…che tanto io non mi offendo.

Marco è un ragazzo con problemi d’ira che affronta un improbabile avventura in barca perché “potrebbe essere d’aiuto” ai suoi problemi. Marco non si sente problematico, non si sente “matto”, e non vuole stare per tre giorni su una barca di matti. Ma alla fine si convince, o forse non si convince ma le onde che spingono le nostre vite, come onde del mare, alla fine ci spingono dove vogliono loro, e aivoglia a mettersi li con le vele a cercare di riprendere in mano le redini della propria vita.

Il progetto accoglie, oltre a Marco, altre quattro persone “strane”, Eva, che si scorda le cose, Valerio, disadattato innamorato, Pablo, muto, e Stefania, rupofobica (ossessiva paura dello sporco).
Sulla barca ci sono altre due persone, normali…quelli che dovrebbero sorvegliare i matti…ma, che Giovenale e Alan Moore mi perdonino per la scomoda citazione, “chi sorveglia i sorveglianti?”.

Ragazzi la questione è questa, il viaggio in mare…non è altro che un viaggio nella mente dei cinque “matti” e in particolare nella mente di Marco…e non c’è posto nè per noi, che infatti lo seguiamo da qui, davanti al computer…non stiamo in mare…e guai ad avvicinarsi che poi Marco lo sai…quello s’incazza ed è la fine.
E non c’è spazio neanche per i sorveglianti. Marco lo dice molto chiaramente ad uno dei due con un sonoro “che cazzo vuoi?”…e non lo whatsappa mica.

Ed è così che rimaniamo soli…noi e i matti. Ed entriamo nel loro mare….innamorati e intimoriti da questo viaggio come Valerio, ci dimentichiamo praticamente subito del perché siamo lì, e dei sorveglianti, come Eva (“chi era?”)…non ci sporchiamo le mani con quello che vediamo, noi non siamo come loro, non siamo matti, e assomigliando in questo modo anche a Stefania e a Marco ce ne stiamo qui, davanti al pc, a viaggiare…muti come Pablo.
E la traversata a questo punto ci trasforma in pirati. A tutti. Combattiamo tutti insieme contro una maledizione che non sappiamo affrontare, ci sentiamo intimoriti dalle nostre stranezze, come mostri marini, ma senza chiederci nulla andiamo avanti…alla ricerca di un qualcosa, un bottino…da depredare.

Come si dice velocemente, l’unico apporto utile dei sorveglianti in questo nostro viaggio, il mare (e in un certo senso anche il cinema, nei suoi modi più disparati) ti costringe ad eliminare quel punto fermo che è la terra su cui poggi i piedi…e immersi, in questo modo, in queste acque liquide e non…sei costretto a trovare in te stesso l’unico punto di riferimento…

Ragazzi essere il punto di riferimento di se stessi è una responsabilità pesante. E per noi che siamo matti…ah no noi non siamo matti, giusto. Per noi che siamo qui…non sia mai che questa pesantezza ci butti giù…sul fondale di questo maledetto mare. A questo punto…andiamocene sulla terra ferma.
Terra! Terraaa!
Approdiamo sull’isola di Tortuga. Qui…qui possiamo fregarcene di noi, di come siamo fatti, di pesci e di rum. Ce ne freghiamo…ma una volta che hai assaggiato i sette mari… Ti rimane dentro…non puoi che salpare di nuovo…non puoi che andare via!

Eppure la terra corrompe, confonde…e alla fine rischi di perderti, di perdere gli altri, di perdere e basta.

Il nostro viaggio con i matti si conclude così, come è iniziato. Loro sono ancora lì…e tra l’altro non si sono neanche accorti di noi.
Noi spegniamo il computer, torniamo sulla terra ferma e ci dimentichiamo di loro, come Eva.
E chissà se un giorno non ci svegliamo su una barca in mezzo all’oceano…che un pò pesanti e un pò leggeri non facciamo che andare avanti…che andare via.

Yo ho, beviamoci su!







Il film lo trovate in streaming qui: ANDAREVIA di Claudio Di Biagio