sabato 31 agosto 2013

Ep 19 - Senza Montatura


Non era una montatura.
Anzi.
La montatura non c'era proprio.
Era un nuovo paio di occhiali, trovati per caso a cinque euro in un mercatino vintage ed è stato un colpo di fulmine.
Non è un modo di dire, il tempo faceva promesse da marinaio, il sole si era improvvisamente spaventato e nascosto dalle nuvole aveva lasciato che i lampi si impossessassero del cielo. Così ero lì, davanti al venditore di occhiali, e ho dovuto scegliere velocemente prima di ritrovarmi bagnato e senza niente in mano. Occhiali vintage o Lucky Strike Click&Roll a 4 euro e 90?
La scelta è stata più veloce di quanto in realtà fosse necessario; e questo, a mente fredda, dovrà significare pur qualcosa, no?
E ora sono lì. Sul comodino. Ad osservarmi.
Come dicevo non avevano montatura e le lenti, forse troppo grandi per me, erano di un arancione fluorescente. Come quelle visiere dei motociclisti da motocross e quando l'ho provate la prima volta me lo sono anche immaginato. Io, dico. In aria, la moto tra le mani, il fango sotto di me, la folla intorno a me. Tutto arancione.
Senza montatura gli occhiali si reggevano solo poggiandoli sul naso e questo forse poteva essere un limite pratico (a dispetto dell'entusiasmante portanza che naturalmente avevano).
Sono sempre stato una persona abbastanza sciolta nei movimenti. La naturalezza del mio corpo ha sempre colpito nella sua ironica attività. Quegli occhiali invece, che ad un movimento troppo veloce o istintivo non avrebbero retto cadendo, mi bloccavano.

Senza montatura mi bloccavo.

Ma comunque, come dicevo, ciò che perdevano in naturalezza, guadagnavano in espressività. Insomma mi stavano da Dio. Mi sentivo forte con quelle lenti.
Tornando a noi attendevo quella telefonata da tutta la mattina, e quando arrivò vidi il numero della chiamata entrante proprio sul telefonino che stava dietro ai famosi occhiali. 
Presi il telefono e risposi.
Lei, ci stava. Quella sera era libera e voleva passarla con me.
Lei, per chi non la conoscesse, è l'unica ragazza con cui non so cosa fare. L'unica con cui non riesco a capire se faccio bene o faccio male. L'unica con cui non riesco a recitare bene la mia parte. L'unica con cui come attore...risulto un cane raro.
Paradossalmente l'unica di cui m'importi, stranamente.
Proprio mentre pensavo a questo istintivamente presi gli occhiali e li indossai. E feci un lungo respiro, davanti allo specchio.

La sera l'attesi sotto casa. Pensavo a quanto fosse difficile trovare un parcheggio lì. Me la immaginavo mentre faceva giri a vuoto con la macchina, con il nervosismo che saliva, e alla fine quasi la vedevo mentre ripiegava su un parcheggio arroccato, lì a tre isolati di distanza, e tutta quella strada da fare, che poi se sei una di quelle persone che arrivate al portone gli viene il dubbio se ha chiuso o meno la macchina è la fine.

Io invece ero fermo. Lì. Ad attenderla. Questa sera, se vuoi, puoi parcheggiarti qui, da me. Le mie labbra sono pronte ad aprirsi e farti spazio, a creare il posto giusto dove fermarti. Sotto casa. Sono qui per te.
Cazzo, gli occhiali. Quasi dimenticavo. Li prendo sul cruscotto e me li metto, con un lungo respiro che accompagna il mio sguardo nello specchietto.

Le battute all'inizio erano d'obbligo. Cosa ci fai con gli occhiali da sole alle nove di sera? La risposta, ovviamente, era pronta: le lenti sono arancioni, non servono a oscurare, ma a colorare. Quindi la notte ha un altro sapore, tinta di arancione fluorescente. Un pò come in un film di Nicolas Refn.
Perfetto. Ho fatto la mia porca figura: un pò misterioso, un pò particolare e soprattutto mi sono giocato la carta del cinefilo. Soddisfazioni. Certo i movimenti un pò bloccati da quelle lenti senza montatura. Ma come inizio è ottimo.

Decido di proseguire su questa strada e la porto in un locale particolarissimo. È pub adibito a spekeasy, che per chi non lo sapesse erano quei posti che se eri un alcolista o semplicemente un amante dell'alchol nelle sue varie forme e miscele nel corso dell'era del proibizionismo americano erano praticamente una seconda casa. Locali nascosti pieni di alchol di contrabbando. Illegali, ovviamente. Superaffollati, ovviamente.
È talmente realistico che per entrare bisogna avere la parola d'ordine, che di solito è la risposta ad un indovinello più o meno facile. Lo adoravo. Adoravo quella finta illegalità, quella sensazione di fare una cosa che non andava fatta, sapendo infondo che in realtà alla fine, non rischiavo niente. Era tutta una montatura, alla fine.
La portai lì, schiacciando il piede sull'acceleratore del ragazzo particolare.

Parlando di acceleratore, nella macchina le feci sentire un cd che avevo commissionato ad un amico. Un cd che avevo studiato per bene, di musica elettronica, con un sapore epico dato da alcune citazioni cinematografiche che aprivano e chiudevano la playlist.
Le piacque tantissimo e ne fui felice. Quando facevo sentire quell'album e mi chiedevano chi l'avesse fatto...io, senza problemi, rispondevo sempre che l'avevo fatto io. Mentivo, sapendo che in realtà senza l'aiuto del mio amico avrei continuato a guidare a ritmo di radio, ma loro non l'avrebbero saputo e a me piaceva non dover condividere il merito con alcuno.
Quando lei mi fece la fatidica domanda però, inaspettatamente, non mentii.
"Me l'ha fatto un amico. Io gli chiesi di farmi un cd e lui mi ha regalato questo." risposi. Con un gesto istintivo mi portai la mano agli occhi per vedere se avevo ancora gli occhiali, e una volta accertatane la presenza giustificai quel repentino movimento facendo finta di aggiustarne la posizione. Lei fece un gran sorriso, mi guardò e disse "Veramente bello.".

Arrivammo al locale e trovai subito parcheggio davanti alla porta. La sensazione fu quella di essere stato scelto. Una macchina stava uscendo da lì proprio quando sono arrivato, creando il posto giusto dove fermarci.
Scendemmo e le raccontai della questione della parola d'ordine. Lei ne fu piacevolmente attratta e mi chiese come facevo a sapere la risposta dell'indovinello.
Le dissi con molta sincerità che un amico me la forniva ogni qual volta volessi saperla, senza particolare impegno.

Arrivammo davanti alla porta dove ad attenderci c'era un uomo, vestito come un mafioso degli anni '20 di Chicago che tenta di non sembrare un mafioso, con pessimi risultati. Lei colse l'atmosfera e la sua eccitazione cresceva sempre di più.
"Sa la parola d'ordine?" disse secco il mafioso. E la sua freddezza un po' mi spiazzò, rendendo tutto più agitato. Improvvisamente era come se tutto quello fosse vero, come se tutto improvvisamente fosse diventato serio.
Cercai di nascondere l'agitazione, e mettendomi apposto gli occhiali risposi:
"Jerry Thomas".
Il mafioso mi guardò fisso. Mi disse "un attimo" e si infilò in una porticina talmente piccola che mi stupii che riuscisse a passarci lui con la sua stazza da gorilla. Guardai lei che rideva, era eccitata all'idea di quello che avrebbe visto lì dentro e questo mi agitava. Le aspettative erano alte ma in realtà tutte le volte che ero andato lì non era mai successo che il gorilla di Chicago non mi facesse entrare subito.
Quando il gorilla rientrò non fece niente se non rimettersi in posa, guardarmi e chiedermi:
"Qual’era il nome del Re del contrabbando degli alcolici di Cincinnati durante il Proibizionismo?"
Qualcosa non andava. La risposta era Jerry Thomas. Ne ero sicuro, me l'avevano detto.
Agitato confermai la mia precedente risposta.
Jerry Thomas.
Lei sorrideva ancora. Guardava me e poi il gorilla. E sorrideva.
"Mi dispiace, ma non potete entrare. La risposta è errata."
Il silenzio che accompagnò le parole del gorilla imbarazzarono anche lui. D'altronde era sempre un paio di clienti in meno. Ma giustamente non potevano permettersi di rovinare la reputazione del locale, che faceva tanti sforzi per rendere tutto così realistico.

Lei. Lei sorrideva. Continuando a fare avanti e indietro con lo sguardo tra me e l'imbarazzato gorilla di Chicago disse, sempre sorridendo:
"È uno scherzo, vero? Vi conoscete, avete organizzato tutto? È tutta una montatura, vero?"
La sua domanda mi spiazzò e con un movimento troppo veloce volsi lo sguardo verso di lei. Gli occhiali mi caddero dal viso, e mentre toccavano a terra lei sorrideva. Continuava a sorridere.
Non era una montatura.
Anzi.

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