venerdì 4 maggio 2012

Ep. 9 - Liberamente Ispirato Ad Una Storia Vera

Mi chiamo Ikuo. 29 anni.
L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.
Alle 14.45 circa, ora locale, il mare ha smesso di essere calmo.
Il bilancio oggi parla di 15.703 morti accertati, 5.314 feriti e 4.647 dispersi.
L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.
Mi sono alzato, come ogni mattina, presto. Mia moglie dormiva. Le ho dato un bacio sulla fronte. Avevamo litigato la sera prima ed eravamo andati a letto con l’odio in gola. C’eravamo fermati solo perché non ce la facevamo più. Non avevo dormito molto. Mi sono preparato la colazione ripensando alla discussione.
L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.

“Mi hanno stufato questi atteggiamenti. Ok? Vaffanculo! Non c’è solo il lavoro Miku. Ci sono anch’io. Non puoi prendere certe decisioni senza consultarmi. Siamo sposati. E io non posso di certo prendere bene il fatto che tu vada per un mese in america per lavoro solo perché ci porterà un bel po’ di soldi!! Ok?”

“IKUO! Ma non capisci che può essere la svolta del mio lavoro? Potrei ottenere la promozione che desidero da tanto tempo!”

“Ma ti senti? Senti le tue parole? Ma non ci riesci proprio a considerare che io esisto? Che sono qui…sono una persona? Con delle emozioni? Sentiti: ‘mio lavoro’ ‘che desidero’! Tu, tu e solo tu. Sempre e solo tu. Qui il discorso non è sull’andare lì…l’avrei forse anche accettato. Ma qui il problema è sul fatto che non me l’hai chiesto. Non mi hai avvertito. Hai fatto tutto da sola! Tanto io avrei accettato la cosa comunque! Capisci? Capisci qual è il problema?”

“Ikuo! Non riesco a capire perché tu non capisca quanto sia importante per me questo viaggio!”

“E io non riesco a capire perché tu non riesca più a dare valore a questo matrimonio!”

“…ok. Ikuo. Senti. Vado a farmi un giro. Devo prendere una boccata d’aria! Prendo la Harley!”

“Vai. Vattene. Io vado a dormire. Ricordati di metterla nel container quando torni. E non mi svegliare. Anzi fai una cosa. Non tornare proprio. Che è meglio”

Il cappuccino è amaro.
Per fortuna non mi ha dato retta. Per fortuna è tornata. Svegliarmi stamattina e non trovarla sarebbe stato devastante per me.
Mi faccio il nodo alla cravatta. E vado a lavoro. Non me la sento di svegliarla o di aspettare che si svegli. Non ce la faccio per ora. Parleremo più tardi di ieri sera.
Mi sono svegliato veramente presto. Sai che faccio? Non prendo neanche l’Harley per andare a lavoro. Stamattina me la faccio a piedi. L’aria mi rinfrescherà le idee.

L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.

A lavoro non riesco a stare concentrato. Mi aspettavo una chiamata qualcosa. E invece niente. Non mi ha chiamato. A quest’ora dovrebbe stare a lavoro. Puntuale com’è. E non mi ha chiamato. Cazzo quanto è testarda. Mi fa venire i nervi. Perché non riesce a pensare a me. Cazzo io sono qui che non riesco a lavorare per quanto sto male della nostra lite e lei non ci pensa. Una chiamata. Un messaggio. Cazzo questo matrimonio sta diventando un inferno.

L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.

Bene. Che ironia. A lavoro mi hanno detto che devo andare in mattinata a Fudai, nella prefettura di Iwate. Che ironia. Dovrei avvertirla ma sai che ti dico? Non una chiamata. Nulla di nulla. Sai che ti dico? Parto. Senza dirglielo. Quando arrivo lì la chiamo e glielo dico. Così magari capisce che vuol dire. Dovrò starci un paio di giorni. Perfetto! Capirà cosa vuol dire. Neanche una chiamata cazzo.
Yamamoto-Fudai. 343 km.

L’11 Marzo 2011 ero in Giappone.

Non so se siete informati. Se ne avete letto qualche notizia. Qualche testimonianza. In ogni caso, partendo dal principio, era il 1997 quando si spense Kotoku Wamura, sindaco del villaggio di Fudai. Durante il suo incarico lottò duramente per la costruzione di una diga a Fudai. La realizzazione avvenne tra il ’72 e l’84 e costò circa 30 milioni di dollari. Beh grazie a questa diga nel 2011 il villaggio di Fudai fu risparmiato dal disastro in Giappone.
Grazie a Kotoku Wamura io, che alle 14.45 mi trovavo a Fudai, non conobbi la morte che invece incontrarono 15.703 persone sotto l’acqua dell’oceano pacifico.
Tra quelle 15.703 persone c’era mia moglie. E io non l’avevo chiamata.
L’11 Marzo 2011 ero in Giappone. Ma non morivo. Mentre mia moglie affogava, la mia casa veniva inghiottita dalle acque, e tutte le mie cose venivano risucchiate dal mare, io ero a Fudai, in Giappone, salvato da una diga. Ma ero veramente salvo?

18 Aprile 2012. Canada. Coste di Graham Island.
Un uomo, Peter, trova un enorme container bianco sulla spiaggia. Lo apre e dentro vi trova mazze da golf, oggetti per il camping e altro. Il tutto ricorda un enorme palla di ruggine. C’è una cosa però che è staccata dalle altre. Quasi intatta. Una Harley-Davidson quasi in ottime condizioni con delle valigette di ferro arrugginite attaccate sul retro. Un insolita variante dei borsoni di pelle giganti che si vedono di solito su queste moto.
Peter ha contattato subito una tv del posto che hanno trasmesso le immagini del ritrovamento in tutto il Canada.

È successa una cosa incredibile. Ad un anno circa dal terremoto sono tornato nella mia città. Tornato tra le macerie dove ho perso tutto. Poche settimane fa ho visto un notiziario. Parlavano di un ritrovamento di una moto in un container bianco. Ho visto le immagini. Era la mia moto. In Canada! Hanno ritrovato la mia moto in Canada. In un anno la mia moto ha attraversato gli oceani, viaggiando per 6.500 km in un container di metallo. E poi ho contattato le tv rivendicando la mia proprietà. Ho preso un aereo e sono venuto qui. In Canada. A riprendermi la mia moto. Non penso che la riuscirò mai più a guidare. Ma non m’importa. Non la rivoglio per quello. Non so neanche perché la rivoglio.

Ora sono qui. Davanti a questa moto arrugginita. Un anno fa piangevo la scomparsa di mia moglie. Sono sempre stato abituato al dolore della morte. Ho perso i miei genitori quando ero ancora piccolo quindi diciamo che la “morte”, in tutto ciò che può portare, come un onda gigante, non mi era nuova. Ho sofferto per mia moglie. Ma non perché era morta. Ho sofferto perché non avevo avuto l’opportunità di riappacificarmi con lei. Ecco perché sono venuto qui. Per sentirla vicina. In qualche modo. Per toccare questo manubrio arrugginito e pensare a lei.

E’ incredibile come sia rimasta intatta. Anche le valigette di ferro. Arrugginite. Ma lì. Attaccate. Vediamo cosa c’è dentro.

L’11 Maggio 2011 un terremoto, seguito da uno Tsunami, sconvolge il mondo portando via migliaia di vite dal Giappone.
Quasi un anno dopo, un uomo in Canada piange davanti ad una lettera ormai praticamente illeggibile, dove però si riescono a intravedere tre parole: “Scusa! tua Miku.”



P.S.
Cio che avete letto è un racconto di pura e totale immaginazione basato su una notizia, di un fatto accaduto realmente, letta su internet. Ecco le fonti e la storia vera di Ikuo:

Articolo TgCom
Articolo "National Post"
Articolo "Blitz Quotidiano"